Grazie ai container, la distribuzione e la gestione del ciclo di vita delle applicazioni hanno registrato un passo avanti in termini di efficienza e versatilità. Come tante altre soluzioni però, l’utilizzo nel tempo porta a un livello di complessità sempre più difficile da tenere sotto controllo. Al momento Kubernetes è la risposta ideale e la via più seguita. La combinazione sempre apprezzata tra open source e flessibilità, l’ha resa infatti una delle soluzioni più diffuse.
Pensare però di partire da zero per costruire un’infrastruttura Kubernetes in totale autonomia è una strada che pochi si possono permettere. Meglio allora affidarsi a una distribuzione o a un pacchetto in grado di garantire funzioni aggiuntive limitando le risorse necessarie a sviluppo e integrazione.
Al momento, le vie principali da seguire, oltre a quella comunque praticabile di gestire il tutto in totale autonomia, sono tre: OpenShift, Tanzu e Rancher. Ciascuna con alcuni aspetti in comune e tratti distintivi utili per adattarsi a situazioni ed esigenze diverse. Prima di agire, è quindi importante conoscere alcuni dettagli.
Prima di tutto, dietro a ognuna di queste opzioni, c’è un’azienda. Probabilmente, tra i principali protagonisti del mondo open source ed esperti di distribuzioni. In ogni caso, anche con le rispettive considerazioni commerciali da valutare. Open Shift è infatti un prodotto di Red Hat, Tanzu fa invece riferimento a VMware, mentre Rancher appartiene infine a Suse.
L’ecosistema OpenShift al servizio di Kubernetes
Come facile prevedere, ne scaturiscono caratteristiche almeno in parte legate anche al marchio di appartenenza. Andando in ordine di tempo per come si sono affermati sul mercato, OpenShift è il primo ad aver raggiunto una certa popolarità. Prendendo spunto dalla versione base di Kubernetes, spesso definita Vanilla, e dai relativi limiti negli strumenti di gestione tutti da creare, l’idea Red Hat è stato il primo supporto strutturato, rivolto alla creazione di un ecosistema. Di conseguenza, più agevole con i propri moduli software.
Inoltre, offre la possibilità di scelta tra una gestione completamente interna e una invece appoggiata al cloud, sfruttando accordi con tutti i principali provider. È un aspetto da non sottovalutare, perché facilita eventuali passaggi di piattaforma senza interventi aggiuntivi o aggiornamenti nella formazione.
Resta inoltre una soluzione con un serie di prodotti “all inclusive” per consentire un’integrazione a tutti i livelli. Probabilmente, tra le tre alternative, la più indicata per chi ha queste necessità.
La libertà Tanzu parte dalla virtualizzazione
Non molto diverso il discorso per Tanzu. Non può sorprendere infatti come VMware l’abbia reso particolarmente indicato per le ambienti virtualizzati. Proprio grazie alla diffusione di questa tecnologia, anche se portato sul mercato qualche tempo dopo Red Hat, sta rapidamente guadagnando terreno. Al punto da raggiungere un’offerta più ampia e soprattutto più modulare, grazie alla quale risulta più facile coprire tutte le proprie esigenze.
La possibilità di guardare a esperienze precedenti ha permesso inoltre a VMware di offrire una gestione più versatile. Dalla console Tanzu resta infatti possibile controllare comunque moduli OpenShift ma anche eventuali cluster Kubernetes messi a disposizione dal provider.
Per chi si preoccupa inoltre di un potenziale lock-in, sicuramente i rischi sono minori. La distribuzione è infatti più vicina a un Kubernetes Vanilla, quindi con maggiore flessibilità in caso di evoluzione o migrazione da un modello a un altro.
Il primo passo con Rancher
Un’operazione dove non dovrebbe trovare difficoltà neppure chi sceglie Rancher. Per quanto si possa considerare l’ultimo arrivato tra le alternative, non è sicuramente da ignorare. Entrato nell’orbita Suse dopo una fase di sviluppo autonomo, conserva comunque alcuni tratti utili per chi non è disposto a scendere a compromessi con la flessibilità e la libertà d’azione.
Anzi, Rancher è stato il primo a garantire un ambiente di Managemet Service per gestire cluster Kubernetes forniti anche dalle altre due alternative. D’altra parte, non ha ancora la stessa profondità di strumenti per completare l’ambiente desiderato, ma ci si può tranquillamente appoggiare su moduli di terzi.
C’è anche un altro aspetto importante. La distribuzione Suse è la più indicata per chi muove i primi passi in ambiente Kubernetes. Non a caso, a suo tempo la stessa VMware lo indicava come soluzione ideale per fare pratica.
In definitiva, la differenza tra la massima autonomia di Kubernetes così come l’ha rilasciato Google e le distribuzioni Red Hat, VMware e Suse non è tanto da cercare sul fronte delle funzionalità, quanto su quello delle esigenze. Dal ricco ecosistema OpenShift, alla modularità di Tanzu ideale in ambienti virtualizzati fino all’accessibilità e flessibilità di Rancher, sono soprattutto obiettivi e competenze disponibili a guidare la scelta. Meglio ancora, se sotto la guida esperta di un partner software independent.